La nostra Congregazione è caratterizzata più dalla sua spiritualità che da un’opera specifica. E tuttavia la prospettiva missionaria è stata sempre molto forte nell’animo di p. Dehon, e l’attività missionaria, da sempre, occupa il primo posto fra le attività della Congregazione.

Quali fattori vi hanno influito e quale il pensiero del Fondatore in tema di missioni?

Risponderemo a queste domande:

a. cercando di vedere quando e come la Congregazione si è aperta ai valori della missionarietà;

b. indicando le tappe più vistose di questo cammino;

c. accenneremo anche ad alcune luci e ombre nel pensiero di p. Dehon, con molta obiettività, perché non è nostra intenzione idealizzare in modo improprio la sua figura;

d. concluderemo questa veloce panoramica riproponendo alcuni brani più significativi delle “lettere” che ha scritto “ai suoi missionari”.

 

Il p. Dehon e l’ideale missionario

 

1 - Il p. Dehon non scrive molto sulle missioni o delle missioni. Però in NHV (I, 29r) ricorda che da ragazzo leggeva gli Annali della Propagazione della fede e della santa Infanzia. Attirato dall’amore del Signore e dallo zelo per la salvezza delle anime, soggiunge: “Volevo essere religioso e missionario... Nei momenti di generosità aspiravo al martirio”.

 

2 - Egli non ha potuto realizzare personalmente queste sue aspirazioni; né si può dire che le abbia particolarmente approfondite negli anni di teologia, o nei primi anni del suo ministero pastorale a S. Quintino. Ma diventato fondatore, molto presto ha cercato di comunicare alla sua Congregazione anche il grande valore della missionarietà.

 

3 - La prima volta che egli formula esplicitamente per la sua Congregazione la prospettiva delle missioni lontane mi sembra di poterlo trovare in una conferenza ai novizi nel 1.4.81. Nel brano più significativo, dopo aver parlato dei martiri, che si danno sino all’effusione del sangue, soggiunge:

“Mais il n’y a pas que le martyre qui donne le sang: tout ce qui use la vie est une effusion de sang en quelque sorte... Et il y a deux choses qui l’usent plus que toute autre: l’amour et la souffrance. C’est par là qu’il nous est possible de donner notre sang. Quelques-uns auront peut-être la grâce de le verser d’une manière éclatante par le martyre, car nous aurons des missions” (C.F. V,70: 1.4.1881).

La sua non era un’ipotesi solo teorica, poiché nel marzo dell’anno seguente (1882) in una lettera indirizzata al papa Leone XIII scrive: “Attingendo dal Cuore di Gesù lo spirito di sacrificio, saremmo felici di essere presenti (anche) nelle missioni” (A.D., B37/4, lett. del 10.3.1882). E ancora, in una lettera al suo vescovo del 21.12.1885: “On aime beaucoup à Rome les congrégations qui demandent des missions”. Con questo motivo egli giustifica la promozione delle vocazioni per Sittard...

 

L’anno della grande fioritura

 

Al di là di questi accenni, mi interessa sottolineare quello che possiamo definire l’anno della grande fioritura sia per la congregazione nel suo insieme sia per la sua coraggiosa apertura alla missionarietà. E’ stato il 1888.

Era solo il 10° anno di vita della congregazione. Ma in quell’anno, e più precisamente nel mese di febbraio di quell’anno si concentrano alcuni avvenimenti che saranno decisivi per il suo futuro. Li elenco:

- 15 febbraio: il vescovo affida alla congregazione di fondare, in un quartiere periferico di S. Quintino, la parrocchia di s. Martino (NQ 18.2.88).

- Il 19 di quello stesso mese, p. Dehon annota di avere scritto a Roma per chiedere “une mission lointaine” e soggiunge: “Questa data segnerà l’inizio di una grande cosa” (NQ 19.2.88).

- Il 21 febbraio riceve l’assenso di p. Matovelle per la missione in Ecuador.

- Qualche giorno più tardi gli giunge da Roma l’atteso decretum laudis, datato 25 febbraio 1888. E il Padre commenta: “L’approvazione della Chiesa aumenterà i nostri sforzi”.

Com’è facile vedere, è una concomitanza di eventi veramente straordinaria. Per cui, incoraggiato da tanti segni positivi, p. Dehon designa subito due padri per la missione in Ecuador, cioè Gabriele Grison e Ireneo Blanc e invita tutte le comunità a vivere quell’evento con intensa partecipazione. Volle che, prima della partenza, i due missionari passassero in tutte le comunità dell’Istituto. L’addio ufficiale, poi, lo diede lui stesso il 7 novembre , al collegio S. Giovanni. Nel suo breve discorso (ispirandosi al noto testo di Isaia 66,19: ‘Li manderò alle genti d’oltremare... alle isole lontane’) mise in risalto i grandi valori della missionarietà, perché, diceva, esige grande coraggio e spirito di sacrificio.

Terminata l’omelia, si prostrò a baciare i piede dei missionari partenti, mentre il coro cantava: “Quam speciosi pedes evangelizatium pacem, evangelizatium bona” (Rm 10,15). E nel Diario: “Gli alunni erano commossi: per loro era come un secondo ritiro” (NQ, 8.11.88).